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29 Novembre 2022 | Approfondimenti tecnici

NOVITÀ IN MATERIA DI DECORRENZA DEL TERMINE DI PRESCRIZIONE QUINQUENNALE DEI CREDITI DA LAVORO

Cosa sono

I crediti da lavoro sono le retribuzioni che il lavoratore ha maturato in anni o mesi di lavoro che non vengono pagate dal datore di lavoro insolvente.

Nei crediti retributivi rientra, innanzitutto, lo stipendio mensile ma anche ogni altra somma alla quale il dipendente ha diritto in base alla legge, al Ccnl e al contratto individuale di lavoro (bonus, prestazioni erogate dall’Inps per il tramite del datore di lavoro, indennità, etc.)

Novità normativa 2022

Il 30 settembre 2022 la Direzione Centrale Coordinamento Giuridico dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), ha emanato la nota n. 1959, con la quale ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla decorrenza del termine quinquennale di prescrizione (ossia il giorno entro cui il diritto può essere fatto valere) dei crediti da lavoro, al fine di garantire al personale ispettivo una corretta adozione del provvedimento di diffida accertativa.

La nota ripercorre l’evoluzione interpretativa in materia sino ad approdare alla recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 26246 del 6 settembre 2022, la quale ha suggerito un nuovo orientamento interpretativo.

A tale riguardo, la Corte di Cassazione nel corso degli anni, in deroga al principio di cui all’art. 2935 c.c. – in base al quale la prescrizione di un diritto inizia a decorrere dal momento in cui lo stesso può essere esercitato – aveva espresso l’orientamento secondo cui, per i crediti di lavoro, la decorrenza non operasse necessariamente in costanza di rapporto di lavoro, ritenendo che il lavoratore si potesse trovare in una condizione di sudditanza psicologica nei confronti del datore di lavoro, tale da indurlo a rinunciare ai propri diritti, almeno fino alla cessazione del rapporto stesso.

Tale condizione psicologica del lavoratore doveva, tuttavia, essere accertata in concreto caso per caso dal Giudice investito della controversia.

Conseguentemente, dal momento che la diffida accertativa deve avere ad oggetto crediti certi, liquidi ed esigibili, come tali non fondati su elementi suscettibili di interpretazione, in occasione degli accertamenti, il personale ispettivo avrebbe dovuto considerare a tal fine solo i crediti da lavoro il cui termine quinquennale di prescrizione, decorrente dal primo giorno utile per far valere il diritto di credito anche se in costanza di rapporto di lavoro, non fosse ancora maturato, tenendo conto altresì degli eventuali atti interruttivi intercorsi.

Come anticipato, sul tema è intervenuta una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la già citata sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022, la quale ha suggerito un nuovo orientamento interpretativo.

La pronuncia, dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa degli ultimi anni (in particolare, esaminando la L. n. 92/2012 e il D.Lgs. n. 23/2015), ha ritenuto di superare il precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui, per poter individuare il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione, fosse necessaria ed imprescindibile una valutazione, caso per caso, volta ad accertare tanto la sussistenza di una effettiva tutela reale a favore del lavoratore, quanto di un concreto timore del licenziamento strettamente connesso alla stabilità del rapporto di lavoro.

Come, infatti, espressamente affermato dalla Giudice di legittimità, l’art. 2948, n. 4, c.c. deve essere letto (così come gli artt. 2955, n. 2, e 2956, n. 1, c.c.) nella sua accezione costituzionalmente legittima, in esito ai noti interventi evolutivi della Corte Costituzionale, nel senso – spiega la Suprema Corte – “di illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 36 Cost., limitatamente alla parte che consente la decorrenza della prescrizione del diritto alla retribuzione durante il rapporto di lavoro (Corte cost. 10 giugno 1966, n. 63), sulla base dell’esistenza di “ostacoli materiali”, individuati nella situazione psicologica del lavoratore, che può essere indotto a non esercitare il proprio diritto per timore del licenziamento; cosicché la prescrizione, decorrendo durante il rapporto di lavoro, produce proprio quell’effetto che l’art. 36 ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinuncia: anche quella che, in particolari situazioni, può essere implicita nel mancato esercizio del proprio diritto e pertanto nel fatto che si lasci decorrere la prescrizione”.

Il passato orientamento, secondo la Suprema Corte, sarebbe quindi da considerarsi ormai inadeguato e comunque inattuale, sia perché fonte di incertezza del sistema (affidando ex post all’Autorità giudiziaria, in costanza di giudizio, il compito di ravvisare la stabilità del rapporto), sia in quanto incapace di assorbire, nello spirito di una interpretazione evolutiva del diritto, il cambiamento operato dalle riforme sul sistema della L. n. 300/1970.

Infatti, le novità introdotte dalla L. n. 92/2012 e dal D.Lgs. n. 23/2015 hanno comportato, per le ipotesi di licenziamento illegittimo, il passaggio da un’automatica applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria, ad un’applicazione selettiva delle tutele e delle sanzioni applicabili. La tutela reintegratoria, per effetto degli artt. 3 e 4 del D.Lgs. n. 23/2015, ha acquisito ormai un carattere recessivo e residuale tale da determinare, inevitabilmente, un timore del dipendente nei confronti del datore di lavoro per la sorte del rapporto ove egli intenda far valere un proprio credito nel corso dello stesso.

Per tali ragioni, la Corte ha riconosciuto pertanto che “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 e del D.Lgs. n. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”.

Si precisa, tuttavia, che la sopraccitata pronuncia non trova applicazione per il pubblico impiego, giacché tali rapporti sono governati da una particolare disciplina normativa che ne assicura la stabilità e la garanzia dei rimedi giurisdizionali avverso la loro – eventuale ed illegittima – risoluzione, così da escludere che il “timor” del licenziamento possa indurre l’impiegato a rinunziare ai propri diritti.

Dunque, nei rapporti di pubblico impiego, il termine di prescrizione quinquennale per i crediti di lavoro inizierà a decorrere in costanza di rapporto dal momento in cui il diritto stesso può esser fatto valere.

Conclusione

Alla luce del principio di diritto enucleato dalla Corte di Cassazione, deve dunque ritenersi in parte superata la nota prot. n. 595 del 23 gennaio 2020 dell’INL e, pertanto, in virtù di quanto sopra, il personale ispettivo dovrà considerare oggetto di diffida accertativa i crediti (certi, liquidi ed esigibili) di cui il lavoratore dipendente è titolare tenuto conto che il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale inizierà a decorrere solo dalla cessazione del rapporto di lavoro.

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