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09 Gennaio 2024 | Approfondimenti tecnici

Il cuneo fiscale 2024 e l’impatto sulle madre lavoratrici

Quando penso al cuneo fiscale, mi viene sempre in mente il premier del tempo, Romano Prodi, che tentava di spiegare ai giornalisti televisivi e della carta stampata cosa fosse il “cuneo”, unendo i due indici delle rispettive mani per simularne la sostanza o, più semplicemente, l’incontro-scontro tra il costo del lavoro ed il netto del percipiente.

Oggi il cosiddetto cuneo fiscale o contributivo viene definito come quello scarto tra il costo del lavoro e il salario effettivamente percepito dal lavoratore, costituito da quanto versato dal datore di lavoro al fisco e agli enti previdenziali. Molti, se non plurimi, i tentativi per ridurlo, venendo incontro:

  • da un lato alle necessità delle imprese di poter erogare maggiori economicità nette, senza aumentare i costi;
  • dall’altro, consentendo appunto di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori/trici.

La scelta del Legislatore odierno, impersonificata nella cosiddetta legge di Bilancio 2024 (legge n. 213 del 30 dicembre 2023) è quella di proseguire nella strada già intrapresa (diremmo potenziata) con il d.l. n. 48 del 2023 convertito in legge n. 85 del 2023 ossia nel garantire, per l’anno 2024, una riduzione dell’aliquota contributiva per ogni dipendente (a condizioni remunerative chiaramente definite).

Per le donne lavoratrici, diversamente, vi sarà una novità.

Vediamo insieme.

 

Il cuneo fiscale 2024

In parallelo rispetto alle previsioni del 2023, già oggetto di intervento del c.d. decreto Lavoro del primo maggio 2023, viene confermata, per il solo anno 2024, la riduzione dei contributi a carico dei lavoratori/trici.

Nello specifico, l’art. 1, comma 5, della già citata legge n. 213 del 2023 dispone, in via eccezionale (quindi senza natura strutturale) e per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, l’esonero contributivo parziale della quota dei contributi previdenziali dovuti dai lavoratori dipendenti, con esclusione del mondo domestico.

Come già noto, siamo già abituati alla modalità di quantificazione di tale riduzione contributiva.

Invero, come in passato, tale abbattimento si sostanzia in un 7% di riduzione per le retribuzioni imponibili mensili fino a 1.923 euro ovvero di un 6% per retribuzioni imponibili fino a 2.692 euro mensili.

Attenzione ad alcuni punti di interesse:

  1. questa volta, contrariamente al 2023, l’esonero contributivo parziale non ha effetto sulla tredicesima, nemmeno in minima parte;
  2. molto spesso si leggono indicazioni a merito delle quali i limiti retributivi sopra indicati devono leggersi come reddituali e, banalmente, legati alla percezione di euro 35.000 nell’anno (per il 6%) o di 20.000 euro annui (per il 7%).

Nulla di più sbagliato, dovendo verificare mese su mese l’applicazione di tale istituto e comunque legandolo all’imponibile contributivo, non al reddito; Se è vero che questo esonero parziale consente un respiro di sollievo per le retribuzioni nette, è altresì evidente che per alcuni lavoratori vicini alla soglia, questa volta sì, di 15.000 euro di reddito annui, non è detto che l’esonero in parola sia apprezzabile, se per effetto dello stesso reddito aumenta e, di conseguenza, potrebbe essere a rischio l’erogazione del famigerato trattamento integrativo reddituale.

Unitamente al cuneo di cui al comma 15 della legge di Bilancio, deve considerarsi altresì come sia intervenuto anche il d.lgs. n. 216 del 2023, ovvero uno dei decreti delegati alla Riforma Fiscale, il quale ha:

  • disposto un temporaneo accorpamento dei primi due scaglioni IRPEF in sede di calcolo dell’imposta;
  • aumentato la misura delle detrazioni di lavoro dipendente con corrispondente modifica correttiva alla disciplina del trattamento integrativo spettante per i redditi fino a 15mila euro.

Per carità. Nulla di strutturale. Ma non dobbiamo dimenticarci, almeno negli intenti, come siamo in attesa del complessivo riordino della disciplina IRPEF. In tal senso l’art. 5 primo comma lett. a) della legge n. 111 del 2023 statuisce “una graduale riduzione dell’IRPEF, nel rispetto del principio di progressività e nella prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica, attraverso il riordino delle deduzioni dalla base imponibile, degli scaglioni di reddito, delle aliquote di imposta, delle detrazioni dall’imposta lorda e dei crediti di imposta, tenendo conto delle loro finalità”.

 Giusto dire, con tanti buoni auguri dovuti all’inizio dell’anno “chi vivrà, vedrà”.

 

Il cuneo al femminile, ma non per tutte

Con la legge di bilancio, assistiamo ad una “innovazione”, almeno normativa.
Non che sia la prima volta che si provi ad agevolare la lavoratrice madre: non dimentichiamoci la famigerata riduzione del 50% dei contributi per la madre che rientra dalla maternità obbligatoria di cui all’art. 1, comma 137, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, valevole solo per il 2022.

Ora, la nostra legge di Bilancio 2023 introduce, per tre anni, un esonero a favore delle lavoratrici madri con un numero di minorenni pari o superiore a tre.

Il comma 180 dell’articolo 1 prevede un esonero di questa portata:

  • fermo restando il cuneo fiscale “generalizzato” di cui al comma 15, “per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 alle lavoratrici madri di tre o più figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico, è riconosciuto un esonero del 100 per cento della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo, nel limite massivo annuo di 3.000 euro riparametrato su base mensile”;
  • per il solo anno 2024, “l’esonero di cui al comma 180 è riconosciuto, in via sperimentale, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024 anche alle lavoratrici madri di due figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico, fino al mese del compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo”.

In entrambi i casi, resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.

Alcuni punti di attenzione:

  • per prima cosa, la riduzione contributiva non soggiace a limiti retributivi.

Una dirigente o una lavoratrice, in presenza delle condizioni soggettive, che percepisce anche 80.000 euro di retribuzione, avrebbe diritto ai tremila euro di riduzione (da considerarsi 250 euro mensili);

  • questa volta il limite di tremila euro è annuo, da riparametrarsi su base mensile. Il che dà a pensare ad una sorta di “conguaglio” alla fine dell’anno o, medio tempore, in caso di assunzione in corso del 2024. Anche in questo caso, dovremmo noi chiedere i dati alla neo assunta;
  • mamme sì, ma a tempo indeterminato. Per quale motivo? Non ha forse maggior senso proprio per quelle figure precarie avere maggiori redditualità a compensazioni di minore stabilità? Se l’intento è quello di stimolare il rientro delle donne al lavoro (magari dopo una gravidanza, per carità), per quale motivo non considerare una evenienza semplicistica, ovvero che il re ingresso nel mercato del lavoro per chi vi è già uscito passerà probabilmente per una assunzione a termine, non indeterminata. A meno che non si voglia agevolare solo il non “abbandono” del lavoro, non il re-ingresso;
  • ma scusate, tutta quella giusta equiparazione (formale), peraltro sancita dal d.lgs. 105 del 2022 in attuazione di direttive UE, della parità di genere tra uomo e donna?

Nel senso, lungi dallo sconfessare in senso pratico una agevolazione verso le lavoratrici, ma da un punto di vista costituzionalmente orientato i padri ci stanno anticipati? Siamo davvero sicuri che questa norma possa tenere un giudicato UE, ad esempio?

A meno che non si accetti l’ovvietà del caso, ovvero che per poter arrivare a quella eguaglianza necessaria per un paese evoluto, serve per forza determinare norme diseguali atte a colmare quel gap sostanziale esistente.

Semplicemente: non siamo tutti uguali in senso assoluto ma le situazioni simili devono essere trattate in modo simile.

Ovviamente attendiamo l’INPS al varco. Prima si muove, meno arretrati da gestire… magari questa volta ce la facciamo.

Autore:  Dr. Dario Ceccato