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23 Novembre 2016 | Approfondimenti tecnici

La sequenza logico-giuridica dell’inquadramento del lavoratore

La nuova formulazione dell’art. 2103 del C.C., intervenuta ad opera del D.Lgs. n. 81/2015, benché abbia modificato sostanzialmente la fattispecie de quo, non ha, tuttavia, apportato modifiche al concetto generale di contrattualità delle mansioni; anzi ne sono state amplificate le peculiarità specifiche; che, per principio generale civilistico, costituiscono l’oggetto dell’obbligazione contrattuale.
Pertanto, l’azienda che dovrà assumere un lavoratore e, quindi, costituire un contratto di lavoro subordinato, preliminarmente, in relazione alle effettive mansioni che il lavoratore è tenuto ad eseguire, dovrà effettuare una ricognizione logico-giuridica al fine di trovare il corrispondente, e corretto, inquadramento contrattuale.

Per affrontare l’argomento in esame, visto la stretta correlazione, si ritiene essenziale ricordare; secondo il disposto dell’art. 2103 del Codice Civile; che “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale”.
Qualora fossero assegnate mansioni superiori, rispetto all’iniziale inquadramento, allo stesso lavoratore, si dovrà garantire un trattamento retributivo corrispondente all’attività svolta e la nuova assegnazione diviene definitiva, “salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.”.
La suddetta formulazione necessita dell’inevitabile coordinamento con l’obbligo di informazione previsto dall’art. 96 R.D. n. 318/1942 (disp. attuazione al codice civile), secondo cui l’imprenditore deve far conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto.

Preme evidenziare tuttavia, come accade di consuetudine, anche in ragione di una contrattazione collettiva poco attenta alle distinzioni letterali, che alcuni termini di uso frequente (mansioni, categoria, qualifica) trovano applicazione quali elementi lessicali con medesima identità e che, proprio in ragione di tale errato impiego, rinvenibile sovente anche nei contratti individuali di lavoro, causano non poche ambiguità applicative e conseguenti contrasti nel rapporto di lavoro.
Pertanto, si ritiene utile fugare il campo da ogni dubbio effettuando un rilievo giuridico finalizzato alla identificazione delle locuzioni utilizzate in materia.

Le mansioni rappresentano il principio su cui fondare l’individuazione qualitativa della prestazione di lavoro in funzione dello schema negoziale pattuito dai soggetti interessati e, benché si ritenga mitigata l’applicazione generale dell’oggetto del contratto (art. 1346 C.C.) e non ragionevole l’ipotesi di nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto (art. 1418 C.C.); poiché l’accordo delle parti non è vincolato dalla necessità di un atto scritto, ma può essere raggiunto per fatti concludenti in ragione della consensuale ed effettiva adibizione del lavoratore a precisi compiti; occorre considerare le stesse esclusivamente come l’oggetto dell’obbligazione cui soggiace la prestazione lavorativa.
Pertanto, con il termine: mansioni, che costituiscono il centro nevralgico dell’inquadramento del lavoratore, si identificano i contenuti tipici di una specifica prestazione lavorativa intesa come i compiti e le attività attribuiti al prestatore di lavoro da eseguirsi in ragione dell’obbligazione contrattuale assunta all’atto della formazione del rapporto lavorativo.
Quindi, nell’accezione data dal legislatore, che utilizza il termine sempre al plurale, si ritiene che, nel linguaggio giuridico, si voglia configurare una collocazione alla quale sia possibile ricondurre, alle mansioni, numerosi e differenti compiti intesi come unità esecutive elementari non ulteriormente scomponibili.

Il lavoratore dovrà essere edotto riguardo alla categoria e la qualifica che gli sono state assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto e, secondo il dettato normativo dell’art. 2095 C.C., per “categoria” debbono intendersi i prestatori di lavoro distinti in dirigenti, quadri, impiegati ed operai, per i quali, il compito di definire i requisiti di appartenenza, è demandato alla contrattazione collettiva.
Da notare che non è rinvenibile alcuna indicazione circa la pura definizione di operaio e impiegato e, pertanto, la distinzione, secondo una nozione generale, dovrà tenere conto degli elaborati giurisprudenziali in materia.
Tale carenza, come menzionato, è colmata dalla giurisprudenza che non ritenendo decisivo, ai fini della distinzione tra la categoria operaia e quella impiegatizia, il carattere intellettuale o manuale dell’attività lavorativa, bensì il grado di collaborazione del lavoratore con l’imprenditore, annovera nella categoria operaia la prestazione che inerisce al processo produttivo e che si mantenga nell’ambito della semplice esecuzione, senza esercizio di discrezionalità o di poteri decisionali, ancorché si tratti di attività non manuale, che coinvolga compiti di vigilanza o di controllo su altri operai in ordine ad aspetti meramente esecutivi del lavoro.
Al contrario la categoria impiegatizia è contraddistinta da un contributo idoneo a sostituire o integrare l’attività propria dell’imprenditore, con mansioni che possono ricondursi a compiti di organizzazione, propulsione, direzione o vigilanza, propri del titolare dell’impresa, e che comportano una sia pure modesta autonoma facoltà di decisione e di iniziativa in ordine ai compiti affidatigli.
Pertanto, con il sostegno di un orientamento prevalente in giurisprudenza, ed oggi supportata dal disposto legale introdotto dal nuovo art. 2103 C.C., per la determinazione dell’inquadramento spettante al lavoratore in funzione alle mansioni effettivamente svolte, si deve fare riferimento al contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro.
In tale contesto, la contrattazione collettiva nazionale adeguandosi ai mutamenti socio economici del mercato del lavoro; ad i cambiamenti concretamente rilevabili nelle organizzazione produttive aziendali; alle evoluzioni dei sistemi tecnologici di produzione; ha adatto la classificazione delle mansioni alla trasformazione dei modelli produttivi ed organizzativi del lavoro creando, così, una pluralità di compiti adattabili alle esigenze di flessibilità aziendali ed, inevitabilmente, raggruppando tale parcellizzazione per area professionale favorendo, in tal senso, l’introduzione del termine “qualifica” che corrisponde, sostanzialmente, al profilo professionale che ricopre il lavoratore all’interno dell’azienda o la sintesi terminologica di un complesso di posizioni di lavoro omogenee.

Appare ragionevole precisare che, con l’avvento dell’inquadramento unico, la contrattazione collettiva ha favorito un processo di attenuazione nel distinguo operaio – impiegato, consentendo, così, una evoluzione del sistema di classificazione dei lavoratori ed ampliando, quindi, il concetto di qualifica che corrisponde, sostanzialmente, al profilo professionale che ricopre il lavoratore quali ad esempio: “Saldatore”.

Il compimento del processo identificativo della professionalità del lavoratore trova la sua ultimazione con il riconoscimento retributivo minimo corrispondente alle mansioni da svolgere. Tale funzione è possibile attribuirla al “livello” che dovrà considerarsi, giuridicamente, come una più puntuale specificazione o, se più comprensibile, una sotto-ripartizione della qualifica attribuita al lavoratore e, quindi, della puntuale individuazione del facere e, quindi, sempre a titolo esemplificativo: “addetto ai processi semiautomatici di saldatura con la specifica tecnica a filo continuo”.
Detto ciò, applicando quanto indicato dalla giurisprudenza maggioritaria, il percorso logico, relativo all’inquadramento del lavoratore, è distinto in tre fasi:

  • la prima fase consiste nell’accertamento delle effettive mansioni che dovranno essere svolte effettuando una analisi di merito, verificando le caratteristiche di conoscenza e capacità soggettive del lavoratore interessato, nonché il grado di autonomia richiesta per l’esecuzione della prestazione;
  • la seconda fase nella determinazione delle qualifiche e dei livelli contemplati dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro, in relazione alle valutazioni di cui al precedente punto;
  • la terza fase nel raffronto tra le mansioni accertate nell’indagine preliminare e quelle proprie della categoria e della qualifica e livello di inquadramento del lavoratore, così come disciplinate dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro e concludo con il corretto inquadramento .

Fabio Licari
Consulente del Lavoro